Nell’approcciarmi a questo articolo intendo ripercorrere con voi l’intero procedimento che è necessario affrontare nell’ambito di una prima consulenza in materia di separazione Roma.
Quando una persona bussa alla porta del mio studio per chiedermi chiarimenti circa la possibilità di una separazione consensuale o meno, quello che più colpisce è la pena negli occhi di chi parla.
Molte volte chi arriva sulle mie poltrone ha appena trovato il coraggio di dire al proprio coniuge “basta non ce la faccio più !” ed è svuotato da queste parole.
La forza necessaria a capire di essere infelici è forse anche maggiore di quella necessaria per fare finta di nulla.
L’avvocato separazioni Roma accoglie persone che hanno appena affrontato una delle prove più ardue della propria vita coniugale; qualcuno che ha capito di essere infelice e sta tentando di porre rimedio.
Non prendo mai alla leggera chi mi chiede consigli.
Se hai cercato “avvocato separazione roma” su un motore di ricerca, hai fissato un appuntamento e sei difronte a me, sicuramente hai già fatto le tue valutazioni.
Pertanto la prima cosa da fare è esorcizzare la paura.
Il matrimonio, come tutti i simboli, ha il significato che le persone gli danno. Spogliato di tale significato esoterico, il matrimonio rimane unicamente un contratto.
Un contratto che ormai una delle parti non reputa più vantaggioso.
La separazione, quindi, non è solamente la fine di qualcosa ma è soprattutto l’inizio di una nuova vita.
Una vita diversa e forse migliore.
Tanto premesso è possibile cominciare a parlare delle separazioni roma.
Ricordiamo che le uniche vittime di una separazione sono i figli. La separazione per i due coniugi può essere davvero un nuovo inizio. Ma per i bambini è sempre un evento traumatico e pertanto devono essere tutelati.
In questo senso l’avvocato che si approccia ad una separazione deve assolutamente ammonire il proprio assistito: niente discussioni a casa, niente recriminazioni, mai insultare l’altro coniuge davanti ai figli.
Spesso anche tali ammonimenti non bastano, ma l’avvocato deve mantenere fermo il timone anche in un mare in burrasca.
Lo stesso legislatore ha inteso tutelare i figli – specie se minori – in caso di separazione. Gli obblighi nei confronti della prole infatti, sono sia di natura personale (obbligo di assistenza e cura) ma anche di natura patrimoniale.
Nell’ambito degli obblighi nei confronti dei figli rientra la questione dell’assegnazione della casa coniugale. I provvedimenti del Giudice in merito all’abitazione familiare, difatti, non rientrano nelle misure di mantenimento in capo al coniuge più debole, ma sono unicamente un mezzo per garantire ai figli la possibilità di continuare a vivere nello stesso luogo ove sono cresciuti.
Data la ratio, quindi, non stupisce che, ai sensi dell’art. 337 sexies c.c, “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”.
Si sottolinea che diretta conseguenza del bene giuridico tutelato è il fatto che “il diritto al godimento della casa familiare, viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare, o conviva more-uxorio o contragga nuovo matrimonio” (art. 337 sexies c.c.).
Da quanto dianzi esposto, deriva che l’assegnazione della casa coniugale è un diritto la cui stabilità è condizionata al suo esercizio. In altri termini, l’assegnazione viene meno in caso in cui l’assegnatario non abiti, o cessi di abitare, nell’immobile a lui assegnato, o instauri una convivenza more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
L’analisi della prassi giurisprudenziale consente di affermare che l’assegnazione della casa familiare, nella maggior parte dei casi, viene disposta in capo al coniuge affidatario esclusivo.
Nel caso in cui, invece, l’affidamento dei figli sia congiunto, il Giudice prende in considerazione il titolo di proprietà o i diritti di ciascun coniuge in capo all’immobile. Solitamente la casa familiare viene assegnata anche al coniuge collocatario della prole (genitore presso il quale la prole ha tempi di permanenza prevalente), anche ove l’affidamento sia congiunto.
Al quarto capoverso dell’articolo 337 ter c.c. è disciplinato l’obbligo per il genitore non collocatario di versare un assegno mensile al fine di realizzare il principio di proporzionalità. Esso viene determinato considerando i seguenti fattori:
Le attuali esigenze del figlio;
Il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
I tempi di permanenza presso ciascun genitore;
Le risorse economiche di entrambi i genitori;
La valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
Occorre, quindi, sottolineare che l’assegno di mantenimento è comprensivo delle voci di spesa caratterizzate dall’ordinarietà o comunque dalla frequenza, in modo da consentire al genitore collocatario l’oculata gestione del budget.
Oltre tali spese ordinarie vi sono le spese straordinarie, cosiddette non solo perché imprevedibili nell’an ma altresì perché, anche quando riferibili ad attività prevedibili, non sono comunque determinabili nel quantum.
Con tali premesse si può ricordare che fra le spese comprese nell’assegno di mantenimento devono essere considerate: vitto, abbigliamento, contributo per le spese di abitazione, spese per tasse scolastiche (eccetto università) e materiale scolastico di cancelleria, mensa, medicinali da banco, spese di trasporto urbano, carburante, ricarica cellulare, uscite didattiche organizzate dalla scuola, babysitter (se già presente nell’organizzazione familiare prima della separazione).
Oltre il limes delle spese ordinarie vi sono le straordinarie, da dividere in obbligatorie, poiché conseguenza di scelte già operate dai coniugi oppure connesse a decisioni tanto urgenti da non consentire la previa concertazione, ovvero subordinate al consenso di entrambi i genitori (natura ludica o parascolastica, spese sportive, interventi chirurgici).
Questi gli obblighi economici nei confronti dei figli, obblighi che alcun avvocato dovrebbe eludere e dai quali a nessun genitore dovrebbe essere permesso sottrarsi.
Più complessa la questione del mantenimento al coniuge.
Lo stesso viene liquidato – nel caso di non addebitabilità della separazione – nei confronti del coniuge economicamente più debole e quantificato in misura tale da permettere di mantenere un tenore di vita assimilabile a quello in costanza di matrimonio.
Le verbose considerazioni sin qui svolte aiutano a spiegare il vero ruolo dell’avvocato separazione roma.
L’avvocato che accompagna una coppia in un percorso di separazione consensuale roma o meno, infatti, può solamente intervenire sui rapporti patrimoniali. Trattare sull’ammontare del mantenimento dovuto, ma i rapporti personali purtroppo esulano dalla nostra competenza.
I rapporti umani devono e possono essere curati solamente dalle persone interessate.
Troppe volte un avvocato eccede i limiti del proprio mandato e si addentra nel delicato equilibrio di una coppia. Questo è un errore che non si deve e non si può fare.
La separazione roma, purtroppo non è la soluzione della crisi coniugale. È la fine.
Ma è anche l’inizio di qualcosa di nuovo.
Un nuovo rapporto con il vecchio partner, un nuovo rapporto con i figli.
Una nuova vita; e come tale non può essere accompagnato da rancore.
Per cui dopo aver esorcizzato la paura l’avvocato deve anche calmierare la rabbia. Dopo la sublimazione della stessa, sarà possibile cominciare un percorso di separazione roma.